Tempi supplementari by Darwin Pastorin

Tempi supplementari by Darwin Pastorin

autore:Darwin Pastorin [Pastorin, Darwin]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Feltrinelli
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


18.

Al mio passato di inviato speciale sarò per sempre grato: girando il mondo dietro a quel variegato, sorprendente circo chiamato calcio ho avuto la fortuna di conoscere luoghi e persone indimenticabili. Non soltanto giocatori di più o meno provata fama. Ricorderò per sempre il corrispondente da Sofia della “Gazzetta dello Sport”: Stefan Petrov, tra le persone più sensibili e intelligenti che porto nel cuore. Se n’è andato durante i Mondiali del ’94, mentre la sua Bulgaria conquistava un prodigioso quarto posto. Mi rivedo a casa di Stefan nella primavera del 1986, vigilia di Bulgaria-Spagna. Il mio direttore, Pierin Dardanello, anima torinista come Grasso, Minà, Gramellini, Novelli, Deaglio e Caselli, mi aveva spedito a Sofia per raccontare i bulgari, i nostri primi avversari al Mundial messicano, quello che avrebbe celebrato il genio universale di Diego Armando Maradona, scugnizzo di Lanus. E io avevo subito preso contatto con Petrov, ambasciatore del calcio dell’Est.

Lui e la moglie mi invitarono a cena, insieme a Cesare Maldini, a quei tempi vice di Enzo Bearzot, e un altro indimenticabile giornalista: Franco Mentana, inviato della “Gazzetta” e papà di Enrico e Vittorio. Mi ritrovo così in quella casa di Sofia. In quella casa arredata con eleganza, con amore: ogni oggetto un simbolo, un significato, una presenza.

Stefan ci mostrò con orgoglio i suoi libri, i suoi tanti libri soprattutto italiani: “Continuo a studiare la vostra lingua, è affascinante e misteriosa”. Parlammo di comunismo e di calcio, bevendo vodka e riempiendo le stanze di una possibile allegria.

Petrov ci raccontò i progressi della Nazionale bulgara e ci chiese dei nostri campioni, così amati dalla gioventù di Sofia. Allora, ad andare di moda erano ancora Paolo Rossi e Marco Tardelli, Gaetano Scirea e Antonio Cabrini, gli eroi di Spagna. Tornai in albergo e non riuscii a prendere sonno: perché le persone speciali, come Stefan Petrov, ti lasciano sempre un segno dentro e mille motivi di riflessione. Vorrei tornare in Bulgaria e portare un fiore sulla sua tomba. E dirgli, semplicemente, grazie.

Nell’estate dell’87, eccomi invece in Olanda, a Eindhoven. Al seguito della Roma, in tournée pre-campionato. I giallorossi devono giocare con i brasiliani dell’Atletico Mineiro e, per me, è l’occasione di una rimpatriata. Ritrovo due vecchie conoscenze: il portiere João Leite e il libero Luizinho. E tutti mi indicano nel giovane centrocampista Guga una probabile rivelazione.

Guga è piccolo, scattante, con una vaga ma già profetica espressione maradoniana. Una storia, la sua, come tante: la povertà nelle favelas, il riscatto per mezzo del calcio. Anche se il pane della realtà è duro: per la trasferta in Olanda il premio è soltanto di cento dollari, nessuna possibilità di telefonare ai genitori a Belo Horizonte, tanto meno di comprare un regalo per la fidanzata. I cento dollari sono già nella valigia, serviranno al ritorno: il sogno è quello, prima o poi, di comprare una casa per papà e mamma. Il sogno più grande, ovviamente, giocare in Italia. Dove ci sono gli assi più famosi e si guadagna molto, sospira. Di Guga non ho più avuto notizia, non ce l’ha fatta – malgrado il talento – a diventare popolare.



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